29 novembre 2006

 

"Vita": un romanzo sull'emigrazione che racconta la nostra storia

 

Nata a Roma nel 1966, la scrittrice Melania Mazzucco è arrivata sulla scena nel 1996 con il romanzo, “Il bacio della Medusa,” candidato per il Premio Strega e il Premio Viareggio.

Nel 2003, ha vinto l’importantissimo Premio Strega con il libro “Vita,” un romanzo sull’emigrazione a New York, ispirato alla storia della sua famiglia. Un anno fa, “Vita” è stato pubblicato in America per la prima volta e adesso è disponibile in edizione economica.

Il romanzo più recente è “Un giorno perfetto", pubblicato in Italia nel 2005.

Ho parlato, via email, con Melania Mazzucco, appena rientrata a Roma dopo un viaggio nel Regno di Tonga. Purtroppo lei non è ancora venuta a Milwaukee per presentare il libro, ma spera di venire in futuro. “Per ora", ammette l’Autrice, “mi sono limitata a sorvolare il Wisconsin con l'aereo che mi riportava in Italia.”

Bobby Tanzilo: Dev’essere stata un’esperienza meravigliosa per lei, riscoprire le storie legate all’emigrazione della sua famiglia. Queste storie Le hanno ispirato il libro oppure aveva già l’idea del romanzo prima di iniziare la ricerca?

Melania Mazzucco: All’origine di “Vita” ci sono i frammenti della storia di mio nonno - scene, episodi buffi e tragici, personaggi, luoghi misteriosi come la New York della Mano Nera all’inizio del Novecento e i boschi dell’Ohio - che mio padre mi raccontava quando ero bambina. A quel tempo non pensavo di scriverne. Si trattava di storie lontane nel tempo, di persone mitiche che non conoscevo (mio nonno è morto quindici anni prima della mia nascita), che mi apparivano perciò simili a personaggi di romanzo. Molti anni dopo, in Italia il tema dell’immigrazione è diventato scottante: nel giro di pochi anni siamo passati da essere terra di emigranti a terra di immigranti, siamo diventati l’America per milioni di persone che oggi vivono in Italia e sono diventati i nuovi Italiani. Allora mi sono resa conto che era essenziale recuperare la memoria della nostra storia di emigranti, una ferita ancora aperta in milioni di famiglie. E nel 1997 ho cominciato il lungo cammino di ricerca, di ascolto dei ‘testimoni’, di lavoro negli archivi, etc. per recuperare la storia perduta della mia famiglia. 

BT: Pensava scrivere la storia come un'opera storica invece che un romanzo?

MM: No, non ho mai pensato di scrivere la storia della mia famiglia come non-fiction. L’esperienza dell’emigrazione italiana nel mondo ha generato, in questi ultimi cento anni, una grande produzione di saggi storici, memorie di prima mano, documentari, mostre fotografiche, film. Ma, almeno nella letteratura italiana, ha lasciato un grande vuoto. E’ come se gli scrittori non avessero trovato le parole per raccontare questa esperienza epocale: con l’eccezione delle due guerre mondiali, la più importante esperienza collettiva del popolo italiano (in ogni famiglia italiana, c’è qualcuno che ha vissuto l’esperienza dell’emigrazione, dalla campagna dalla città, dal Sud al Nord, dall’Italia alla Francia, alla Germania, agli Stati Uniti, al Canada, l’Argentina, il Brasile e così via). E coloro che l’avevano vissuta sulla propria pelle appartenevano alle classi disagiate della società, e non avevano gli strumenti ‘culturali’ per trasfigurarla – si sono limitati a raccontarla ai propri figli, e a volte nemmeno quello, per pudore e vergogna. In Italia esiste un’immensa ricchezza di storie orali di emigrazione, ma quasi nessun romanzo. Per questo, ho sentito l’esigenza di partire dalla storia di mio nonno e della sua ragazza Vita per fare di loro personaggi universali. E solo un romanzo poteva farlo. Tuttavia, “Vita” è un romanzo sui generis, che racchiude in sé anche la non-fiction - la memoria orale di decine di persone, i documenti materiali, le immagini - perché volevo che il lettore sapesse che, sebbene tutto sia stato rielaborato, Diamante, Vita e i loro amici sono esistiti, e la loro storia, come quella di tutti gli altri italiani, non è immaginaria.

BT: Nel corso della la Sua ricerca genealogica ha scoperto dei fatti che l’hanno sorpresa o ha imparato cose che non conosceva?

MM: Le scoperte più importanti che ho fatto durante le ricerche sono sostanzialmente due. Una di tipo più ‘filosofico’, l’altra molto pratica. La prima riguarda il rapporto tra verità e menzogna. Ho scoperto che la memoria – personale e collettiva – è estremamente libera, che tutti rielaborano arbitrariamente le proprie vicende facendone ‘romanzo’: la “verità” è un’illusione e una mistificazione, e può essere altrettanto ‘falsa’ della sua contraffazione. Ciò che diciamo (crediamo, sogniamo, raccontiamo) di aver vissuto appartiene alla nostra vita (è dunque vero) come ciò che abbiamo vissuto davvero. Questa è la chiave per capire l’operazione letteraria che ho compiuto scrivendo “Vita”, romanzo nel quale la “verità dei fatti” e la “leggenda del ricordo” si intrecciano, si sovrappongono, si confondono. La seconda scoperta riguarda l’origine della mia famiglia. Mio nonno ha sempre raccontato che i Mazzucco provenivano dal Piemonte, ed erano ‘emigrati’ nel Sud Italia inseguendo un ideale di giustizia sociale e riscatto. Ciò conferiva alla famiglia una nobiltà e una missione storica. In realtà, i Mazzucco provenivano proprio da Tufo di Minturno, nel Mezzogiorno d’Italia, dove per cinque secoli hanno fatto parte della parte più miserabile della popolazione, braccianti senza terra e senza diritti, senza voce e senza storia.

BT: I Mazzucco hanno lasciato tracce in America? Ha ritrovato dei cugini dopo la pubblicazione del libro qui in America?

MM: I Mazzucco oggi sono più numerosi negli Stati Uniti e a Toronto che a Tufo di Minturno. Dopo la pubblicazione del romanzo in lingua inglese, ho ricevuto molte lettere di italo-americani di terza, quarta e quinta generazione: alcuni avevano perduto memoria del paese d’origine, altri invece mantenevano stretti legami con l’Italia. La lettera più straordinaria l’ho ricevuta dai discendenti di Diamante Mazzucco. Non mio nonno, un altro ragazzo dello stesso paese, con lo stesso nome e la stessa storia. Ci siamo scritti, e anche incontrati a New York, siamo diventati amici.

BT: Mentre stava scrivendo il libro, ha mai pensato che sarebbe stato pubblicato negli Stati Uniti e cosa avrebbero pensato gli Italo Americani del suo romanzo?

MM: Quando ho scritto il romanzo, non potevo immaginare che sarebbe stato tradotto in America, anche se lo desideravo, perché era quello il suo destino: solo così le due “nazioni” separate dalla storia (gli italiani che sono tornati e quelli che sono rimasti, diventando americani) si sarebbero ricongiunte. Dopo l’uscita del libro, sono stata a New York: è stato interessante incontrare i lettori americani, le cui famiglie avevano storie simili o identiche alla mia, e confrontare i nostri punti di vista e le nostre conoscenze sulle esperienze vissute dai nostri antenati, sul sogno americano, sulla memoria.

BT: Mi sembra che “Vita” sia l’unico Suo libro che parla di emigrazione. Pensa che in futuro affronterà ancora questo argomento?

MM: In realtà il tema dell’emigrazione è presente anche in altri miei scritti. Nel mio primo romanzo, “Il bacio della Medusa” (non ancora tradotto in inglese), ho raccontato l’emigrazione dei bambini italiani all’inizio del Novecento. Per miseria, spesso venivano venduti a venditori ambulanti – molti dei quali pedofili che abusavano di loro - e portati all’estero a mendicare. (Oggi in Italia questa miserabile tratta si ripete, ma si tratta di bambini dei paesi dell’est Europa). Al tema dell’immigrazione in Italia, invece, ho dedicato molti racconti e alcuni reportage apparsi su giornali italiani._ 

 

Intervista a Melania Mazzucco a cura di Robert “Bobby” Tanzilo - Milwaukee, Wisconsin, USA, 2006 - Riportato da Ernesto R Milani